Aggiunto il 3 nov 2015
Per vedere le cose dall’alto, generalmente non tentavo di volare ma soltanto immaginavo di farlo correndo a braccia larghe come facevo spesso lungo il muretto dietro la chiesa, in riva al lago; una sola volta mi distaccai da terra saltando con impeto da un saliente del terreno ma toccato terra ruzzolai lungo la china.
In primavera qualcuno abbandonava al vento gli aquiloni che però erano nulla in confronto all’aliante di mio cugino: affusolato con ali larghe quanto le mie braccia aperte e di colore celeste come il cielo. Mio cugino prendeva la rincorsa e lo lanciava con forza verso l’alto e quello prima si impennava poi, presa un po’ di aria, fluttuava per molti metri prima di toccare terra, ed io lo seguivo in tutto quel percorso col fiato sospeso come se veramente fossi a bordo di quel trabiccolo, lassù in alto.
In seguito, qualche anno dopo, dovetti spesso prendere l’aereo e volare veramente ma io sinceramente più dell’emozione di volare soffrivo il fastidio del viaggio lungo e noioso, passato seduto in una poltrona come in macchina senza neanche il piacere di girare il volante.
Così, mi sono nel tempo fabbricato un aereo perfetto che se ne sta piegato nel cervello e quando voglio lo dispiego al vento dell’immaginazione e volo in alto, sopra quello che voglio nella mente vedere, ci giro attorno, mi avvicino ed allontano e se non ruoto io, ruota lui, l’oggetto immateriale che ho costruito.
Non ci crederete ma, delle volte, mi viene il mal di mare