Aggiunto il 23 dic 2015
La palazzina, resa austera dal suo colore grigio, aveva sul davanti un vialetto con ai lati, vicino al cancello, due alte palme e diverse ortensie rosa e azzurre ne ornavano il percorso.
Al di la della strada, un vasto prato una volta all’anno si riempiva di mucche per la fiera del bestiame e, durante l’inverno, ci sostava il luna park.
Sulla facciata della casa, il glicine partiva da terra coi suoi rami contorti per strizzare con forza i pilastrini del balcone soprastante, inondati d’estate di fiori pendenti come grappoli d’uva.
Dietro, la Falk lampeggiava nella notte con le sue gettate di ghisa dai Martin-Siemens.
Di fianco, sulla sinistra, c’era l’orto col campo di bocce; a destra la mia scuola che potevo vedere da una finestra di fianco al letto mentre, da quella di fronte, vedevo salire dal lago il monte Legnone.
In autunno, arrivava l’umido frescume del lago che penetrando nelle pareti della casa, ne evidenziava le antiche macchie e i vecchi decori, ed era ancora possibile riconoscere nel corridoio dell’ingresso, la lunga sfumatura rosa lasciata dalle collaborazioniste arrestate che si sfregavano sul muro le teste rasate per cancellare la rossa falce e martello che i partigiani ci avevano dipinto.
Ma di questo se ne parlava a bassa voce, perché il passato era passato e se la casa non era cambiata con le palme ed il glicine, le ortensie no, le ortensie rosa e azzurre erano state piantate dopo per mitigare il grigio dei muri e dei ricordi.