Aggiunto il 30 dic 2015
Percorrendo le buie strettoie, quasi, quasi, rimanevi meravigliato di arrivare al casinò; anche l’ingresso posteriore e la hall con le scale non erano poi tanto illuminati. Le sale invece erano abbaglianti e i diversi tavoli delle roulette assiepati da giocatori dal cuore fremente, fisicamente distaccati ma protesi.
Avevo un sistema di gioco mio che, il mio amico e socio, chiamava “del ragioniere”; il gioco per lui era invece intuito ed istinto e dovetti dargli spesso ragione poiché le mie puntate, metodiche e studiate, non davano significato ad una serata passata lì invece che meglio altrove.
Lui, il mio socio, si divertiva ed io avevo il suo espresso ordine di trascinarlo via qualora avesse ragionevolmente vinto; non era facile farlo e per tutta la sera poi non mi rivolgeva la parola.
Chi dice che il gioco sia una malattia non sbaglia.
Una sera entrò un uomo di circa quaranta anni, elegante e di bel portamento, in compagnia di due stupende ragazze che trascurò poi per tutta la sera; appena raggiunta la linea dei tavoli, non soffermandosi in nessuno di essi, senza inibizioni, si mise ad urlare numeri e lire, puntando col dito questo e quel tavolo.
Quando a notte fonda, si riprendeva un raro vaporetto, in silenzio, navigando verso l’albergo, infilavo lo sguardo nelle calli che passavano; poca gente in giro, ma il posto più solitario era il largo piazzale flebilmente illuminato dove troneggiava la Salute: un’immensa, stupenda basilica dedicata alla Madonna per la salvezza degli uomini.