Aggiunto il 22 lug 2016
L’ingegnere si stropicciò le mani con evidente soddisfazione guardando dal basso l’alto edificio di trenta piani che si innalzava come una gigantesca torta verso il cielo, piano su piano rastremando, ed ogni piano era collegato al superiore da una strada esterna che saliva a spirale armoniosamente. Quella strada l’ingegnere l’aveva percorsa nel suo sviluppo per mille volte e mille volte ne aveva corretto il percorso aggiungendo e togliendo sostegni e contrafforti affinché assumesse un aspetto degno di essere modello di ispirazione per opere pittoriche di grandi artisti.
Un sentimento di innegabile soddisfazione pervase l’ingegnere guardando gli ultimi piani dell’edificio che sfumati dalle nuvole si ficcavano nel cielo come prepotenti conquistatori.
Un solo problema si era, giorno dopo giorno, rivelato durante la sua edificazione: il linguaggio degli inquilini si differenziava da piano a piano al punto che sempre più difficile si era resa tra loro la possibilità di comprensione, al punto che ogni piano si dotò di proprie usanze, leggi e costumi, peraltro tutti estranei a lui, il progettista.
Poco importava però, perché l’opera era degna di ammirazione; innegabilmente gigantesca e professionalmente gratificante.
L’ingegnere uscendo dal giardino che circondava la costruzione si voltò e, asciugandosi gli occhi umidi delle lacrime della commozione, rilesse con soddisfazione per l’ultima volta la scritta sull’architrave del cancello di ingresso: “Condominio Babele”.