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L'edificio

Aggiunto il 22 lug 2016

L’ingegnere si stropicciò le mani con evidente soddisfazione guardando dal basso l’alto edificio di trenta piani che si innalzava come una gigantesca torta verso il cielo, piano su piano rastremando, ed ogni piano era collegato al superiore da una strada esterna che saliva a spirale armoniosamente. Quella strada l’ingegnere l’aveva percorsa nel suo sviluppo per mille volte e mille volte ne aveva corretto il percorso aggiungendo e togliendo sostegni e contrafforti affinché assumesse un aspetto degno di essere modello di ispirazione per opere pittoriche di grandi artisti.
Un sentimento di innegabile soddisfazione pervase l’ingegnere guardando gli ultimi piani dell’edificio che sfumati dalle nuvole si ficcavano nel cielo come prepotenti conquistatori.
Un solo problema si era, giorno dopo giorno, rivelato durante la sua edificazione: il linguaggio degli inquilini si differenziava da piano a piano al punto che sempre più difficile si era resa tra loro la possibilità di comprensione, al punto che ogni piano si dotò di proprie usanze, leggi e costumi, peraltro tutti estranei a lui, il progettista.
Poco importava però, perché l’opera era degna di ammirazione; innegabilmente gigantesca e professionalmente gratificante.
L’ingegnere uscendo dal giardino che circondava la costruzione si voltò e, asciugandosi gli occhi umidi delle lacrime della commozione, rilesse con soddisfazione per l’ultima volta la scritta sull’architrave del cancello di ingresso: “Condominio Babele”.

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Il pullman scomparso

Aggiunto il 20 lug 2016

Alla fine, il mistero della sparizione del pullman con tutti i suoi passeggeri si risolse nel modo più idiota possibile; altro che rapimento di mafia, terrorismo o alieni: fu dabbenaggine!
Ormai notte, il pullman della gita aziendale “Fallodomani srl” scaricò alla stazione di servizio dell’autostrada i suoi passeggeri quasi contemporaneamente ai turisti tedeschi del pullman della agenzia di viaggi ”Wagen schnell ”. 
Nel mentre i tedeschi si dedicavano alla degustazione di buoni vini e ottime mortadelle, gli italiani, compiuti i dovuti riti corporali e sorbito l’abituale caffè ristretto che non combatte il torpore, seguendo il più assonnato del gruppo, salirono sul pullman tedesco dove si accucciarono abbandonandosi tutti in breve al più beato dei sonni. Fu così che l’autista, rumeno, non distinguendo dal modo di russare la nazionalità dei passeggeri, puntò decisamente sulla Germania.
L’autista nostrano invece che s’era fermato un po’ troppo al video poker, trovando il pullman vuoto, girò l’area di sosta in lungo ed in largo alla ricerca di quella serie di rimbambiti che oltre ad aver cantato “E la Violetta la va la va la va, la va, La va sul prato eccetera” per tutto il viaggio scassandogli gli attributi, ora si permettevano di fargli uno scherzo nascondendosi come bambini deficienti. 
Aspettò ancora una mezzoretta poi avviò il mezzo e partì, avvisando per telefono l’agenzia di viaggi della sparizione dei suoi passeggeri; e qui nacque la storia dei rapimenti perché, incazzato com’era, alle ripetute richieste di spiegazioni, sparava di volta in volta ipotesi sempre più sceme; una caterva di stupidaggini insomma che i giornali del mattino come usuale riportarono molto volentieri. 
Ma torniamo ai turisti tedeschi che ad un certo punto si avviarono al pullman ma non trovandolo supposero che il rumeno l’avesse portato a fare rifornimento. 
Aspettarono un po’, pazienti; soltanto qualcuno bofonchiò qualche frase mozza di asburgica memoria circa l’indole di un popolo slavo dalla parlata mezzo latina, poi, pur nella convinzione di essere in un paese dal clima equatoriale, qualcuno iniziò a sentire freschino e quindi tutti decisero di ritornare allo snack –bar ed al suo mercatino alimentare.
Questo fatto diede origine in seguito a particolari conseguenze per questa area di sosta autostradale in quanto la comitiva teutonica, pian piano riscaldata da vini misti italiani e da salamelle emiliane, scivolarono in una spontanea bier fest completa di cori e di onde umane al punto che, essendosi divulgata la voce che il locale si fosse trasformato in una birreria, i gestori per parecchie settimane dovettero assoldare dei buttafuori per tenere lontani i beoni della zona che pretendevano di cantare e fare l’onda al bancone del bar coinvolgendo ignari viaggiatori intenti a sorseggiare un caffè.
L’autista rumeno viaggiò tutta la notte senza pensieri fino in Germania quando improvvisamente qualcosa lo preoccupò: In piena foresta nera, l’ignaro ragionier Cupello, aperti gli occhi cisposi ed ancora assonnati, vedendo all’esterno un paesaggio piuttosto ghiacciato, chiese con garbo “Ma dove cazzo siamo?”, frase non tipica del linguaggio tedesco che indusse l’autista a scrutare meglio lo specchietto retrovisore interno cogliendone una immagine agghiacciante: il disordine era indubbiamente italico come pure le gambe pelose nei calzoncini corti che sporgevano in corridoio.
Grazie alla scarica di adrenalina dedusse istantaneamente gli eventi; si infilò nella prima stradina laterale che portava ad uno sperduto villaggio e qui violentemente scaricò, mezzo svestiti, gli intrusi poi, con rapida manovra, riprese la via dell’Italia per il recupero dei legittimi passeggeri. 
Fu così che a temperatura da freezer la comitiva, sperduta in località ignota e vestita in modo non appropriato, fu circondata da tre macchine della locale polizei, chiamata da alcuni cittadini terrorizzati dalla presunta minaccia di invasione e scandalizzata dall’indecente ricambio d’acqua perpetrato da mezza dozzina di alieni contro una palizzata caratteristica dell’artigianato ligneo locale.
Fu soltanto grazie all’intervento di un aitante signore, dai grossi e folti baffi bianchi che, amante del grande Michelangelo, nella pur infinitesima probabilità che in tali italici individui si conservasse qualche spezzone di DNA del Maestro, fu indotto ad intervenire in loro aiuto procurandogli un interprete, al caso un calabrese da quaranta anni residente in Germania che, oltre a cancellare la propria origine mediterranea ossigenandosi i capelli, si era ben guardato dall’ aggiornare il proprio dialetto; pertanto, solo con l’ausilio di cenni e disegni riuscirono a spiegarsi. 
Furono ospitati in una legnaia abbandonata, ma avendo fatto scompisciare dalle risate la Polizei per la loro sfiga, gli furono condonate le denunce per atti osceni e deturpamento di beni pubblici.
La comitiva della “Fallodomani srl”, fu recuperata col pullman e con l’autista originale, il quale per tutto il viaggio, girandosi di tanto in tanto per vederli dal vivo, mormorava a mezza bocca: razza di coglioni!

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Un diverso corso

Aggiunto il 1 apr 2016

La stiratriceMia cugina era un’ottima sarta e giovane com’era si faceva dei bellissimi vestiti per la passeggiata lungo il corso; io la ammiravo, abbagliato dai colori dei grandi fiori delle stoffe che sceglieva e per le ampie, gonfie gonne a sbuffo che si strozzavano in vita, per qual cosa non cenava la sera.
Dalla finestra sul corso guardavo la passeggiata lungo i larghi marciapiedi: le ragazze cinguettanti colle ampie scollature e tutti quei giovani che, allora per me erano adulti, nei loro vestiti di terital cotone chiari, le scarpe bianche e la sigaretta in mano, zuzzurellavano in parata e pensavo che, nel semplice circuito che mi ero immaginato della vita, un giorno sarebbe toccato anche a me passeggiare per il corso nel mio vestito estivo chiaro in cerca della mia anima gemella.
Non fu poi così: in tempi diversi, in una città diversa, per colpa di Proudhon e di qualcun altro.

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Il treno

Aggiunto il 30 mar 2016

Attraversando la ferroviaDavanti all’hotel all’ingresso dalla statale, c’erano due piccole torrette merlettate e poco più in la, dall’altro lato della strada, un viottolo di sabbia battuta ombreggiato da contorti pini marittimi conduceva al mare.
La corriera fermava proprio lì, ai pini e da questi si arrivava al passaggio a livello, poi dopo c’erano le dune che nascondevano alla vista il mare e la larga spiaggia.
Il mare era sole, pelle appiccicosa di sabbia e pane con mortadella, tutto qui; unica attrazione: il treno che passava tremendo dietro le dune e se ne poteva vedere la sommità delle carrozze scorrere imperterrite ed indifferenti alla tua presenza, a quella dell’altra gente e perfino del mare.
Il bello era quando il passaggio a livello era abbassato e di lì a poco sarebbe passato il treno; era il momento in cui le madri stringevano con forza le mani dei figli ed i soliti frettolosi attraversavano i binari con rapide corsette guardando a destra e a sinistra ed altri scuotevano la testa.
Perché perdere il passaggio del treno? 
Ecco, arriva!
Il muso d’acciaio si ingrandisce con gli occhi di vetro di un mostro assassino; inesorabile come il destino, tritando i binari ti sbatte col rumore dell’aria e col suo odore finché è passato. 
Pazzo, non mi travolgerai!

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La Pasqua

Aggiunto il 27 mar 2016

PasquaLa Pasqua più bella, per quanto mi viene da quel poco dei miei ricordi, l’ho vista a Rimini tanti anni fa.

Il giorno di Pasqua li, in chiesa, ci andavano tutti anche se durante l’anno facevano gli atei.

La mattina si vestivano col più dignitoso dei vestiti e, senza una apparente destinazione, lanciando una gamba dopo l’altra così, come se fosse un trastullo passeggero, andavano incontro a quello o a quell’altro amico ed insieme si incamminavano verso la Chiesa.

Alla predica, una sigaretta davanti al sagrato.

Dopo l’indescrivibile pranzo, una passeggiata sul lungomare dove una miriade di bolognesi cercavano di digerire le lasagne leccando un gelato e rallegrandosi di aver prenotato per l’estate il solito alloggio di sempre.

Anche in quel giorno di Pasqua veniva la sera, ma in realtà era soltanto finito il primo giorno d’estate.

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Vestizione

Aggiunto il 25 mar 2016

Mai un pensiero allegro mentre mi annodo la cravatta.
Ieri, m’è capitato tra le mani il vecchio album dei miei, con le sue pagine tegolate dalle foto di momenti sempre meno ricordati. 
Chissà chi era questo, e quest’altro? 
Questo, questo lo ricordo era, era…
Cosicché, mentre annodo la cravatta ecco, il volto di mio padre in quella foto, più giovane di me e lo vedo adulto come lo vedevo allora e assai più uomo di me oggi.
Mentre ripeto il nodo alla cravatta, il volto di mio padre se ne va e vengono altre immagini che come nubi in movimento prendono forme bislacche: ora un monte mai violato, adesso un ananas dal ciuffetto frastagliato e poi un mostro dagli artigli appuntiti che s’abbassa e mi inghiotte tra la gente.

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Giù per le scale

Aggiunto il 23 mar 2016

DiscesaSempre la mattina mi lancio per le scale per non perdere la corriera. 
Mi sbatacchio di muro in muro sciabattando colle suole sui gradini.
Mi dicono di svegliarmi prima, ma non ce la faccio, allora mi dicono di andare a letto più presto, ma come fai a perdere i programmi della notte?
Tempo fa, mi tirarono un filo di nylon di traverso sulla rampa e fu peggio per loro perché, in quel mese nonostante l’ingessatura, mi son lanciato lo stesso giù per le scale e tutto, dico tutto il condominio alla finestra mi urlava dietro fino all’angolo della strada.

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Sempre viene dal mare

Aggiunto il 18 mar 2016

D’inverno il mare offre doni inaspettati scaraventando sulla spiaggia le cose più strane, anche i semplici rami di alberi 
abbattuti dalla furia dei fiumi e trascinati fino al mare, vengono corrosi, scavati e salati come rigidi baccalà, fino a che 
approdano sulle spiagge dove il sole li secca e ne fa sculture inquietanti.
Amo percorrere d’inverno le lunghe ingombre spiagge dove il vento ti rimbambisce e le onde ti sputano addosso e, arrancando, non riesci a staccare gli occhi dal disordine che pare interminabile e nel quale trovi gli scarti di mille vite: conchiglie, cavallucci marini, granchi e poi sugheri e bottiglie di vetro smerigliate dalla sabbia; un giorno raccolsi cinque teste, due gambe, tre braccia e due busti di bambola; li accumulai, man, mano che li trovavo, nei pressi di un tronco e poi cercai di comporne una adattando i pezzi trovati. 
La bambola che composi è un mostro sporco e sbiadito; ha una gamba più corta dell’altra e le braccia son due sinistre, le ho fatto un vestito con la tela di un uovo di Pasqua e la tengo seduta, appoggiata al muro sulla mia scrivania; è un po’ calva ma gli occhi sono lucenti e grandi.
Le voglio bene perché… sempre viene dal mare.

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Il viaggiatore esteta

Aggiunto il 16 mar 2016

Il viaggiatore incantatoCosì, dal finestrino di questo treno, spinto dai miei bisogni estetici, distruggo tutto ciò che vedo di mal fatto: cascine sgangherate, brutte case, serbatoi grotteschi, recinzioni e tanto, tanto altro che compare velocemente e senza sosta nel paesaggio, perché il brutto non ha fine. 
Dove butto l’occhio c’è qualcosa che non va ed è l’uomo, sempre lui l’artefice; un buzzurro senza coscienza e così, viaggiando incantato, continuo la mia inesorabile opera.
Dovrebbero osannarmi per lo sforzo mentale che dedico a quest’opera risanatrice, e magari anche ricompensarmi per l’energia demolitrice che consumo nello sforzo di spianare le cose ed invece, nei miei viaggi di ritorno, tutte le volte mi accorgo che c’è gente incazzata che strepita ed impreca nei pressi della propria brutta casa demolita, del pollaio distrutto o di un capannone industriale spazzato via dal mezzo di un campo di lavanda...ma andate a vivere sotto terra immeritevoli abitanti di questo pianeta!

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Anonimato

Aggiunto il 10 feb 2016

una piazza di un posto qualunqueNon ci sono scuse, questa piazza è proprio triste.

Eppure non desidero vivere da nessun’altra parte di questa città, figuriamoci nel resto del mondo.

Qui sono nato e la gente del quartiere ha vissuto intorno a me con la naturalezza di una coltura batterica: ci incontriamo, ci salutiamo, con qualcuno neanche quello anche se sono cinquanta anni che ci vediamo  quasi tutti i giorni.

Casualmente so chi è quello e quell’altro, ma mai con particolare interesse, lo so così, come so dov’è la fermata del tram o dov’è il panettiere.

Nessuna relazione per carità!

In una giornata uggiosa così poi, non  mi interessa nemmeno chi sono io: una nullità magnifica, sola dentro un bar ne quale il barista da sempre mi chiama Carlo e chissà perché?

Io, non mi chiamo Carlo, il mio nome non mi pare di averglielo mai detto,  ma va bene lo stesso anzi meglio!

La sorsa settimana è morto il mio vicino di pianerottolo ed ho scoperto dal registro in atrio il suo vero nome.

E’ scivolato nel tempo inosservato come una foglia sui flutti di un rigagnolo.

Esco, un bel respiro di gelida nebbia; fra poco sarà buio  e salirò fino a casa mia senza accendere la luce.

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