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La corriera

Aggiunto il 1 gen 2016

Il richiamo della corrieraFinché c’è la corriera posso andare in città; posso andare al cinema o a teatro e, magari in qualche bel ristorante.
Salgo sopra alla corriera ed il mondo si avvicina: spiagge sterminate e monti scoscesi e profondissime valli.
Io non potrei vivere in questa brutta periferia senza la corriera.
Un giorno ci salirò per andarmene per sempre e da quel giorno non sentirò più il clacson che mi avvisa del suo arrivo e sarà l’unica cosa che di qui mi mancherà, perché il richiamo della corriera è il più bel suono di festa.
Quando salirò per l’ultima volta sulla corriera sputerò a terra e scuoterò le scarpe per scrollarne la povere di questo luogo.
Però non ancora, non posso ancora e aspetto qui alla fermata che arrivi l’azzurra corriera.

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La salute

Aggiunto il 30 dic 2015

L'uomo in verdePercorrendo le buie strettoie, quasi, quasi, rimanevi meravigliato di arrivare al casinò; anche l’ingresso posteriore e la hall con le scale non erano poi tanto illuminati. Le sale invece erano abbaglianti e i diversi tavoli delle roulette assiepati da giocatori dal cuore fremente, fisicamente distaccati ma protesi.
Avevo un sistema di gioco mio che, il mio amico e socio, chiamava “del ragioniere”; il gioco per lui era invece intuito ed istinto e dovetti dargli spesso ragione poiché le mie puntate, metodiche e studiate, non davano significato ad una serata passata lì invece che meglio altrove.
Lui, il mio socio, si divertiva ed io avevo il suo espresso ordine di trascinarlo via qualora avesse ragionevolmente vinto; non era facile farlo e per tutta la sera poi non mi rivolgeva la parola.
Chi dice che il gioco sia una malattia non sbaglia.
Una sera entrò un uomo di circa quaranta anni, elegante e di bel portamento, in compagnia di due stupende ragazze che trascurò poi per tutta la sera; appena raggiunta la linea dei tavoli, non soffermandosi in nessuno di essi, senza inibizioni, si mise ad urlare numeri e lire, puntando col dito questo e quel tavolo.  
Quando a notte fonda, si riprendeva un raro vaporetto, in silenzio, navigando verso l’albergo, infilavo lo sguardo nelle calli che passavano; poca gente in giro, ma il posto più solitario era il largo piazzale flebilmente illuminato dove troneggiava la Salute: un’immensa, stupenda basilica dedicata alla Madonna per la salvezza degli uomini.

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Auguri di buon Natale

Aggiunto il 25 dic 2015

Quando ero bambino i regali arrivavano alla Befana, il giorno dell'Epifania; Natale era il giorno della messa e dei cappelletti. Quando ci spostammo a più alte latitudini, mi chiesero invece cosa mi avesse portato Gesù Bambino è così , se pur imbarazzato al pensiero che Gesù Bambino dovesse scendere dalla mangiatoia per portare un regalo a me invece del contrario, abbandonai la Befana per il Natale. Fu però quando ci trasferimmo a Milano che incontrai un personaggio appena, appena intravisto prima: Babbo Natale. Devo dire che finché mantenne una certa eleganza e dignità, lo accettavo come un qualcosa inventato per la grande città e quindi da sopportare ma poi, col passare degli anni, riducendosi ad una infinita' di suoi simulacri mal vestiti, accantonanti davanti a cinema e supermercati, confesso che Babbo Natale mi sta sulle balle!

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Grande Slam

Aggiunto il 24 dic 2015

Grande SlamGrande Slam, lo chiamavano così per via delle tredici prese favorevoli a bridge che lo resero per un bel pezzo famoso tra i debosciati del bar Primavera, però non fu abilità ma fortuna.

Si sa che al gioco delle carte, quando vinci tanto, si crea il mito ed il mito di Grande Slam non poteva spegnersi altrimenti chi lo avrebbe più sfidato a carte; sarebbe stata la sua rovina, pertanto dovendo in qualche modo confermare la sua bravura, l’unico modo era quello di aiutare la fortuna.

E’ facile intuire che la fortuna a carte la puoi rendere certa soltanto con mazzi truccati e Grande Slam divenne abilissimo nel segnare i valori e i semi sul dorso delle carte.

La cosa andò avanti per molto tempo e Grande Slam divenne, otre che famoso, anche ben ricco, tanto che poteva permettersi di gareggiare con personaggi di alto livello: industriali, commercianti, attori, facevano a gara per giocare, e perdere, con lui e tutto durò fin alla vigilia di Natale, quando un bianco e rosso Babbo Natale, entrò con tutti i suoi regali nel bar Primavera per bere un grappino che lo scaldasse dal freddo. Grande Slam, ormai viziato dalle continue e disoneste vincite, non si trattenne dal desiderare di possedere tutti i regali destinati ai bambini buoni che il povero Babbo Natale si portava sulla schiena, così lo invitò ad una innocente partitina tra dilettanti, tanto per stare un po’ al caldo prima di affrontare il freddo dei tetti.

Babbo Natale, dovete sapere, non è quella gran cima di intelligenza che cercano di farti credere, infatti lassù, al circolo polare artico o posti simili dove dicono che vive, lo considerano un buon uomo o come dicono in certi posti: un gran patacca ed in altri un povero marrone e via di seguito, pertanto dopo un’oretta di gioco s’era perso tutto: regali, renne ed il bel vestito rosso con gli sbuffi di pelo bianchi e, non si può nascondere , anche le mutande color porpora, cioè l’ultimo capo originale rimastogli del look inventato dalla Coca Cola per lui e così conciato, anzi del tutto nudo, si avventurò nel parco tra i condomini per nascondersi dentro una siepe.

Per fortuna lassù, al circolo polare artico, i folletti laboriosi per precauzione lo seguono sempre con una sfera di cristallo grossa quanto una mongolfiera per cui, vistolo così conciato, gli spedirono, mediante una renna supersonica, un folletto giocatore, cinque monete da un euro ed un perizoma per le vergogne.

Ovviamente Grande Slam non poté sottrarsi all’attrazione di vincere a Babbo Natale anche quei cinque euro e magari il perizoma, per cui si riprese il gioco ma questa volta, ad insaputa di Grande Slam, Babbo Natale era invisibilmente guidato dal folletto giocatore.

Potete immaginare che in mutande ci andò ‘sta volta Grande Slam.

Perdere con Babbo Natale non fu come perdere con uno qualunque, fu come perdere con l’immagine della gioconda innocenza.

La notizia si sparse e Grande Slam perse nel giro di una serata non solo la sua fama di grande giocatore, ma conquistò quella di pollo da spennare.

Con i soldi vinti Babbo Natale comperò tanti giocattoli da aggiungere a quelli che aveva già, potendo così far felice tanti altri bambini.

Grande Slam invece, uscito barcollando dal bar Primavera, continuò a ripetersi per tutta la serata: “Che figura di merda!”.

Il giorno di Natale, si ritrovò solo, e soltanto verso sera incontrando un paio di sfaccendati poté giocare una mezz’oretta a rubamazzo.

Si dice che la posta fosse un panettone e che, sempre si dice, lo dovette pagare Grande Slam e, probabilmente, fu proprio così perché è da allora che Grande Slam, quando si avvicina il Natale, si mette a mugugnare ripetendo ad ogni occasione: “Babbo Natale non porta doni, Babbo Natale porta sfiga!”

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Pingo e Pango

Aggiunto il 23 dic 2015

Pingo e Pango

Pingo e PangoIl padrone del piccolo elefante Trombetta, si chiamava Ramirez Gonzales ed era figlio di Medoro il pagliaccio del circo Mascheroni, famoso in tutto il mondo.

In prossimità del Natale Ramirez, che di anni ne aveva solo otto ma di testa ne aveva più di tutti, pensò fosse importante divertire il pubblico con un numero di eccezione, perciò convinse trombetta ad adattarsi ad una mascherata che lo avrebbe fatto somigliare ad un mammut e come tale presentarsi al pubblico con fare feroce; attaccare Gonzales; farsi catturare e poi addomesticare per poi trasformarsi nell’elefantino dolce e rasato che era oggi. Proprio una bella idea.

Fu così che Gonzales imbastì con della lana grigia il lungo pelo del mammut e per le zanne, visto che Trombetta le aveva cortissime, si procurò due pezzi di tubo di plastica bianchi che, tagliati, ridotti a cono e poi piegati, sembravano veramente due enormi zanne di mammut.

Trombetta fu felicissimo di potersi dotare di quelle due enormi zanne, perché bisogna ricordare che le zanne sono l’orgoglio di ogni elefante serio ed essendo Trombetta molto serio, una volta infilatele, non volle toglierle più.

Le cose però non sempre vanno per il verso giusto perché il mondo è pieno di ladri e due di questi, di nome Pingo e Pango, si erano per caso imbattuti in Trombetta con le sue lunghe zanne. Roba da milioni; roba da rubare!

Il furto avvenne la notte della vigilia di Natale, mentre tutti dormivano, stanchi per le prove dello spettacolo del giorno dopo.

Povero Trombetta! Quando si svegliò, non trovando più le sue due zanne, si mise a piangere come una fontana, barrendo di corsa intorno al tendone; un vero strazio.

Chi se la vide più brutta però, furono Pingo e Pango che, certi di aver rubato due preziose zanne di elefante, si recarono da Cing Ciung Ciang, il terribile cinese senza sorriso; grande e manesco ricettatore che, capendo subito le zanne non essere avorio ma semplice plastica, si convinse di essere stato preso per le chiappe ed incazzatissimo, dopo averli meticolosamente bastonati, li costrinse a camminare chini uno dietro l’altro: Pongo davanti con le zanne strette sotto le ascelle, Pingo invece dietro incaricato di barrire come un elefante e così messi, dovettero andare in giro per la città facendo la figura degli scemi.

I due ebbero però tanto successo al punto che Mascheroni, il padrone del circo, li assunse per fare la stessa cosa in pista.

Gonzales rifece le zanne a Trombetta che poté così, il giorno di Natale, esibirsi stupendamente da mammut.

Pingo e Pango, con una coperta grigia addosso e le zanne false, si esibirono come elefante riscuotendo un gran successo.

Accadde però che Trombetta, non avendola mai vista, scambiò Pingo e Pango per una elefantessa e se ne innamorò.

Non si sa con precisione cosa sia poi successo ma, certo è che ci furono grossi problemi perché, come tutti ben sappiamo, l’amore è cieco.

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La casa con le ortensie

Aggiunto il 23 dic 2015

La palazzina, resa austera dal suo colore grigio, aveva sul davanti un vialetto con ai lati, vicino al cancello, due alte palme e diverse ortensie rosa e azzurre ne ornavano il percorso.
Al di la della strada, un vasto prato una volta all’anno si riempiva di mucche per la fiera del bestiame e, durante l’inverno, ci sostava il luna park.
Sulla facciata della casa, il glicine partiva da terra coi suoi rami contorti per strizzare con forza i pilastrini del balcone soprastante, inondati d’estate di fiori pendenti come grappoli d’uva.
Dietro, la Falk lampeggiava nella notte con le sue gettate di ghisa dai Martin-Siemens.
Di fianco, sulla sinistra, c’era l’orto col campo di bocce; a destra la mia scuola che potevo vedere da una finestra di fianco al letto mentre, da quella di fronte, vedevo salire dal lago il monte Legnone.
In autunno, arrivava l’umido frescume del lago che penetrando nelle pareti della casa, ne evidenziava le antiche macchie e i vecchi decori, ed era ancora possibile riconoscere nel corridoio dell’ingresso, la lunga sfumatura rosa lasciata dalle collaborazioniste arrestate che si sfregavano sul muro le teste rasate per cancellare la rossa falce e martello che i partigiani ci avevano dipinto.
Ma di questo se ne parlava a bassa voce, perché il passato era passato e se la casa non era cambiata con le palme ed il glicine, le ortensie no, le ortensie rosa e azzurre erano state piantate dopo per mitigare il grigio dei muri e dei ricordi.

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Sempre viene dal mare

Aggiunto il 18 dic 2015

Il guardiano immersoD’inverno il mare offre doni inaspettati scaraventando sulla spiaggia le cose più strane, anche i semplici rami di alberi 
abbattuti dalla furia dei fiumi e trascinati fino al mare, vengono corrosi, scavati e salati come rigidi baccalà, fino a che 
approdano sulle spiagge dove il sole li secca e ne fa sculture inquietanti.
Amo percorrere d’inverno le lunghe ingombre spiagge dove il vento ti rimbambisce e le onde ti sputano addosso e, arrancando, non riesci a staccare gli occhi dal disordine che pare interminabile e nel quale trovi gli scarti di mille vite: conchiglie, cavallucci marini, granchi e poi sugheri e bottiglie di vetro smerigliate dalla sabbia; un giorno raccolsi cinque teste, due gambe, tre braccia e due busti di bambola; li accumulai, man, mano che li trovavo, nei pressi di un tronco e poi cercai di comporne una adattando i pezzi trovati. 
La bambola che composi è un mostro sporco e sbiadito; ha una gamba più corta dell’altra e le braccia son due sinistre, le ho fatto un vestito con la tela di un uovo di Pasqua e la tengo seduta, appoggiata al muro sulla mia scrivania; è un po’ calva ma gli occhi sono lucenti e grandi.
Le voglio bene perché… sempre viene dal mare.
 

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La piccola fiammiferaia

Aggiunto il 18 dic 2015

la piccola fiammiferaiaLa tenera, infreddolita bambina dagli occhi dolci, percorreva scalza le strade della città vendendo timidamente fiammiferi ai passanti; mai si sarebbe azzardata ad entrare in un negozio e tanto meno in una bettola per scaldarsi ma quella volta fu colpita nel vedere i signori Pig e Boar, rettori dell’Orfanotrofio, entrare ridendo nella più malfrequentata osteria della città. La piccola decise di spiare cosa avessero a che fare quei due rispettabili signori con quel posto; entrò e si nascose tra i pastrani appesi lungo le pareti e, scivolandovi dietro, si portò ad un palmo dal tavolo occupato dai rettori.
Dai loro discorsi, interrotti da grasse risate, venne a sapere in breve quanto rubassero all’ orfanotrofio e quanto disprezzo nutrissero per i suoi poveri e piccoli ospiti; risero anche di lei che avevano visto vendere i fiammiferi fuori del locale e i cui, seppur poveri guadagni, avrebbero concorso ad ingrassare le loro pance.
Ne sentì abbastanza per covare una gran voglia di punirli e il come fare le venne subito in mente.
L’orfanella raccattò, nella piazza del mercato, alcuni giornali e della carta usata; raschiò del grasso di pesce in pescheria e, seduta su una panchina del parco, compose il testo di due lettere anonime, una per Pig e l’altra per Boar, fatte di caratteri ritagliati dai giornali ed incollati col grasso di pesce ai fogli di carta stropicciata.
Si recò quindi a casa di Pig per infilargli sotto la porta la lettera che il rettore, presala in mano, faticò poi non poco a staccarsela dalle dita; dopo averla letta si precipitò in cortile per verificare se quanto scritto fosse vero.
“Caro Pig” c’era scritto molto semplicemente “quanto sei fesso a farti fregare i soldi che hai nascosto da Boar”.
Pig scavato nel giardino trovò tutti i suoi soldi così che, contento e rasserenato nei confronti di Boar, si ritirò tranquillo in casa, mentre la buona fiammiferaia che lo aveva spiato, riscavando nella morbida terra recuperò ciò che, giustamente, riteneva essere dell’Orfanotrofio. 
La stessa cosa fece a Boar che, come il suo onesto compagno, aveva adottato la stessa fantasiosa soluzione: una buca nel giardino.
La piccola fiammiferaia, carica di due sacchi colmi di monete d’oro, ritornò all’Orfanotrofio, non prima però di aver consegnato altre due appiccicose lettere ai compari, i quali questa volta, ridendoci sopra, si recarono a passo tranquillo, ognuno nel proprio giardino, a riconstatare che: “Porca l’oca è vero, quel ladro mi ha rubato i soldi!”.
Pig e Boar, come matti, si precipitarono alla bettola dove ognuno di loro era certo di trovare l’altro e, senza dire ne ai e ne bai si scazzottarono ben bene urlandosi scambievolmente il titolo di ladro, farabutto e sfruttatore di bambini; in un primo momento pareva che prevaricasse il più irruento Signor Boar ma, grazie ad un ben assestato calcio sulle palle, il Signor Pig ebbe qualche possibilità di sopravvento con la quale poté rifilare a Boar una scarica di pugni tra bocca e naso.
Fu a questo punto che l’oste, per non avere grane con la polizia, li prese per la collottola e li sbatté fuori, nel vicolo sul retro del locale dove, nel buio, poterono darsele fino allo svenimento.
Fu al mattino del giorno dopo, vigilia di Natale, che il carro della immondizia passò nel vicolo e uno sgangherato spazzino, visti due saccacci mal ridotti di immondizia, imprecando, li scaricò sul cumulo di scarti di cucina, cacche di cane e di cavallo avviandosi poi verso la fumosa fossa detta Gehenna.
Per strada i due informi sacchi si risvegliarono e riprendendo ad insultarsi a vicenda, lanciandosi manate di lerciume, spaventarono a morte il povero spazzino che scappò in cerca della polizia.
I gendarmi arrivarono in tempo per assistere alle ultime fasi del tiro a segno e per prendere nota delle accuse scambiate tra i due; accuse talmente gravi da spingerli, tenendoli a dovuta distanza, in galera dove, freddatisi dal furore grazie al lancio di numerose secchiate d’acqua gelida, vennero a sapere che il giorno di Natale, i bimbi dell’Orfanotrofio, lo avrebbero festeggiato con un gran pranzo e tanti, tanti regali.
I due, sconvolti per la gran fregata, dovettero tacere così che, chiusi in cella, sommessamente, sbocconcellando la fettina di panettone mai negata a qualcuno il giorno di Natale, rivolgendosi al secondino con occhi dolci gli dissero: “Quanto vorremmo oggi essere coi nostri amati orfanelli”.

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Al lavoro

Aggiunto il 16 dic 2015

Entrando in ufficioEccomi davanti al mio ufficio, come ogni mattina da vent’anni a questa parte, soltanto un po’ più coperto di ieri per via della pioggia. 
Fermo davanti alla porta perché ho una tal noia addosso da bloccarmi la mano sulla maniglia. 
Lo vedi bene che la giro riluttante perché so che in questa stanza ci starò fino a ‘sta sera.
E tu invece, così pimpante, ieri sera hai cacciato leoni nella savana o combattuto cento spadaccini come Cirano?
Su dimmi, di quale epica vita e di che forti emozioni mi puoi raccontare?
Ha vinto la tua squadra del cuore o hai quasi rimorchiato qualcuna?
Ho indovinato, ha vinto la tua squadra del cuore ma non hai rimorchiato nessuna; sei più deprimente della porta del mio ufficio.
Ho deciso: giro la maniglia, spingo e poi entro.

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Il Tram

Aggiunto il 8 dic 2015

sul tramIl capolinea del tram una volta era in campagna, e c’era una trattoria dove un oste mal vestito ti serviva anche di notte un quarto di vino e un piatto di maccheroni al ragù.
Da quelle parti, dove ora c’è l’aiuola, suonavano Jazz .
Su questo tram che odio, ho sognato il mio futuro e altre cose belle che non furono mai vere.
Ancora ‘sta mattina porta me e la mia stanchezza lontano dal capolinea, indifferente al calcio che passando sferro ad un sedile.
Il tranviere si volta, faccio finta di niente; guardo fuori la nebbia che non c’è più, se n’è andata con l’arrivo di tanta gente nuova.
Senti come sferraglia e come caracolla sotto i piedi questo tram?
E’ diretto all’altro capolinea che, sinceramente, non ho mai visto.

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